lunedì 16 luglio 2012

DFW e la "Leggerezza" di Calvino…

Ho terminato di leggere "David Foster Wallace nella Casa Stregata" di Carlotta Susca. Ho assistito a due presentazioni del libro (una per scelta, l'altra perché a due passi da casa). Non ce ne sarà una terza. Voglio dire, di presentazioni sono convinto (e spero per l'autrice) che ce ne siano molte altre, ma per me due possono bastare. E poi, non vorrei passare per un fan di una fan di DFW (e caso mai ci fosse un fan di questo blog, immaginare a un fan di un fan di una fan di DFW ricondurrebbe a una spirale frattalica il cui significato è annidato tra le pagine del saggio (per cui, chi volesse saperne di più…)

Come si dice? "il libro scorre, si fa leggere, lo si legge in un giorno…" Beh, non è quello che direi per il libro di Carlotta Susca. Anzi, non lo direi per nessun libro, perché un "libro che scorre" è un libro che non induce a rileggere alcuni passaggi, a farti riflettere su alcune osservazioni, e queste sono tutte cose che dilatano piacevolmente il tempo della lettura, almeno per l'idea che io ho di lettura. Con questo non voglio dire che sia un libro complesso, la cui cripticità dei contenuti obbliga a ritmi più lenti. Dico solo che le idee espresse, per quanto confinate a un autore specifico, concedono inaspettati spazi al pensiero. Se non avete letto Infinite Jest non è un problema: potrete comunque capire a fondo DFW. E se proprio non vi interessa DFW questo saggio è un utile strumento per esplorare la scrittura… come dire… contemporanea. Altri motivi per leggerlo?
Carlotta Susca e Michele Casella a Polignano

L'interessante analisi della scrittura di DFW alla luce delle "proposte" di Italo Calvino, ad esempio.
L'autrice cerca, e trova, in DFW quelle caratteristica che la letteratura, scriveva Calvino nelle "Lezioni americane", deve portare con sé nel prossimo millennio (il saggio di Calvino fu scritto nel 1985).

La prima caratteristica è la Leggerezza.

È necessaria una premessa: le osservazioni che seguono vanno ovviamente affiancate a quelle dell'autrice e non sovrapposte, in quanto l'analisi che Carlotta Susca fa nel suo saggio parte da un'accezione che lo stesso Calvino dà all'idea di Leggerezza e, pertanto, rimane un'analisi perfettamente condivisibile.

Italo Calvino

Inizio col chiedermi che altra interpretazione dare alla Leggerezza a cui pensa Calvino. Nelle "Lezioni americane" Calvino discorre delle sue proposte senza mai dare per ognuna un'interpretazione univoca. Carica (ma non appesantisce) la lettura del suo saggio di continui e incalzanti riferimenti letterari, di metafore di ogni genere (essenzialmente tratte dai classici), cercando di definire meglio ogni sua "proposta" nel tentativo di ridurne la sfocatura iniziale, lavorando per approssimazioni successive, e avvicinando il lettore a un pensiero che sfugge a qualsiasi rigido schematismo. Prova ne è il fatto che nel saggio ci sono intrecci tra una proposta e l'altra, come se l'argomentazione fosse unica e la suddivisione in capitoli – denominati ognuno con un sostantivo – fosse solo un espediente per "schematizzare" ciò che invece sfugge a ogni schematizzazione.

Comunque sia, parlavamo di Leggerezza.
Calvino vede nella letteratura una "funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere". A parte le tante immagini rievocate per chiarire il concetto di Leggerezza (Perseo e la testa della Medusa, il salto di Cavalcanti, la luna di Leopardi,…), ce n'è una che mi torna alla mente ogni volta che rileggo questa "proposta" di Calvino. Si tratta del fin troppo noto finale del suo libro "Le città invisibili", quando Marco Polo, parlando dell'inferno dei viventi, conclude che, per non soffrirne, bisogna "cercare e saper riconoscere chi o cosa, in mezzo all'inferno, inferno non è, e farlo durare, e dargli spazio". Un peso, l'inferno dei viventi, e una Leggerezza, far vivere e dar spazio a ciò che inferno non è. Quella frase così… perfetta, messa come chiusa del libro, mi sembra che riconduca in maniera quasi didascalica a questo tema.
Shakespeare

Ma c'è un passaggio sulla Leggerezza che fa riflettere. Per Calvino "in Shakespeare si può trovare l'esemplificazione più ricca" del tema. E cita allora la fantasmagoria del Dream: "noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni." Se questa è la più ricca esemplificazione della Leggerezza merita, allora, una certa attenzione.
Se per sogno intendiamo un qualcosa che si desidera ardentemente (sul verbo "desiderare" mi sono soffermato, in maniera frivola, in un altro post), allora ho l'impressione di aver sfiorato, ma solo sfiorato, un significato che sembrava ogni volta sfuggirmi.

C'è un'interessante intervista del 1994, a Remo Bodei. Il filosofo sardo, a proposito di Ernst Bloch e della sua opera "Il principio della speranza" osserva che "A Shakespeare, che si chiedeva di quale materia fossero fatti i sogni, Bloch risponderebbe che la materia di cui sono fatti i sogni è appunto la speranza."

La dea Spes
Sogno / desiderio / speranza mi sembrano, allora, tre settori concentrici di un bersaglio, sempre più prossimi al centro del significato di Leggerezza.
Proviamo, però, per astrazione a porre il concetto di speranza al centro di questo ipotetico bersaglio. Vista così, è come se la letteratura avesse bisogno di speranza/leggerezza per sostenere il peso della vita. Sotto questo aspetto il finale de "Le città invisibili" appare con una luce diversa, non nuova, ma diversa.

Ma dovevo parlare di DFW e non solo di Calvino.
Per la lettura – tutta personale, naturalmente – che ho dato di Leggerezza, la mia impressione è che in David Foster Wallace questa caratteristica risulti traslata in un altro piano, meno visibile di altri, e tutto in una narrazione in cui, tuttavia, la possibilità che lo scrittore offre di capire la nostra società può essere anch'essa  ricondotta, in un certo qual modo, alla speranza/Leggerezza. Ma, a parte questo – che, a ben guardare, non è affatto poco –, lo scrittore Wallace, non concede altro, non offre soluzioni, né scappatoie, né strade. Forse poche speranze.

E poi ci sarebbe la Rapidità. La seconda proposta di Calvino.
In un altro momento, però…

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